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Vengo subito al dunque: il nome deriva da una antichissima miscela di civiltà e culture, quella egizia in primo piano, quella ellenistica in funzione di complemento semantico e lessicale; il tutto integrato nella fascinosa cornice delle rispettive mitologie, cioè delle elaborazioni fantastico-religiose dei due popoli in relazione e funzione delle proprie culture.

Garantisco che il paragrafo appena letto e del quale non ci avete capito un’acca, non è solo corretto, ma anche analitico, documentale, schietto e sincero come il vino dei Lamoretti. Basta un sorso intenditore per rendersene conto, ed allora versiamone subito quanto basta per procedere e capirci.
Il nome in questione: Isidoro. La miscela di civiltà e culture: Iside, dea egizia della fecondità e della maternità, con aggiunta dell’antica mitologia greca interpretata da Erodoto, che identificava Iside con Demetra, dea della terra, dell’agricoltura, della fertilità. La radice del nome Isidoro, insomma, è questa, di questi miti e miscele culturali si nutre e non vedo che altro si debba aggiungere per intuire il suo rapporto, vero o presunto che sia, con le cose “terrene” della vita.
Resta da chiarire il finale “oro”. Niente a che vedere con il metallo che, come il vino, rende ebbri gli esseri umani, minuscolo palindromo che affascina, seduce, domina, fa paura. No, con Isidoro l’oro “Au”, numero atomico 79 della tavola periodica degli elementi del professor Dmitrij Mendeleev, proprio non c’entra: c’entra invece l’antica parola greca “doron”, dono, per cui è ovvio concludere che Isidoro significa “dono di Iside”, e scusate se è poco….
Con questa premessa, familiari, parenti, amici e conoscenti di Isidoro Lamoretti possono trovare un riscontro semantico a quello che avevano già personalmente constatato e verificato senza dover scomodare le mitologie ed i rapporti teoforici: Isidoro è persona con un particolare istinto, genetico e cognitivo, nei confronti di madre terra. Con lei può dialogare, comprendere ed essere compreso, sentirsi gratificato dall’afflato fliale che madre terra gli dedica e che lui, non a caso, sapientemente e saggiamente, “coltiva”.
Ora si dà il caso che da un buon rapporto con madre terra si ottengano frutti, per cui non c’è nemmeno da meravigliarsi se Isidoro raccoglie frutti speciali, privilegio parentale a parte; perché sta scritto nelle pagine della saggezza e dell’esperienza umana che gli Isidori di tutto il mondo sono persone istruite, rispettose delle regole, proprietari esclusivi del senso del dovere, laboriose e dedite alle “cose di casa e famiglia”.
Per Isidoro Lamoretti quest’ultima evidenza dispositiva e caratteriale deve essere integrata con una aggiunta che non si discute nemmeno: laborioso e dedito alle “cose di casa e famiglia, di vigna e di cantina”.
Fatta chiarezza ed emessa la sentenza, resta solo da richiamarne il meccanismo: nel 1964 (ma quanti anni hai, Isidoro?) l’approccio, anzi l’abbraccio, con la vite, anzi con la vigna. Donde la fama attuale e certe evidenze di personalità vitivinicola ed enologica che emergono chiare e forti, ogni volta che qualcuno si mette a discorrere con lui di vitigni, di affari di allevamento (la vite si alleva, non si coltiva….), di salute, malattie, prevenzione, cure, educazione. Sì, perché la vite, sostiene Isidoro, ha una grande dote, l’intelligenza, e ambisce di conseguenza ad essere istruita. Chiaro il concetto? Si? No? Forse? Andate pure avanti o tornate indietro a rileggere, in conformità al punto interrogativo che vi riguarda.
Ora si dà il caso che abbiamo scoperto e rispolverato l’intervista che qualche tempo fa un giornalista con nome e cognome, cioè non uno qualunque, gli ha chiesto e ottenuto: ho suggerito che venisse proposta nel sito Lamoretti, perché il “dono di Iside” affiora nelle risposte di Isidoro alle domande del giornalista, in realtà talmente asciutte e scarne da suggerirvi di leggerle non senza aver prima sistemato a fianco ed a portata di mano un sano bicchiere di coinvolgente Malvasia. Servirà ad orientarvi meglio tra le righe, perché il giornalista fa domande di basso tenore alcolico, senza particolari aromi e profumi, che nelle risposte Isidoro si sforza di far rifermentare con lieviti e zuccheri confacenti alla sua saggezza enologica. Arriverete così in fondo all’intervista constatando che senza il fruttato, il floreale e la fresca acidità delle risposte di Isidoro l’intervista avrebbe potuto configurarsi come il bugiardino di un anonimo farmacista. Invece no, la semantica del nome ed il suo profilo mitologico hanno fornito l’energia giusta per renderla ben strutturata.
Il dono di Iside avrebbe probabilmente elargito altri stimoli se il giornalista, per far assaporare sul palato sapori più intensi e genuini, avesse fatto a Isidoro una domanda analoga a quella che una volta gli feci io, tra i filari, mentre si vendemmiava: “Ma tu, dì la verità, sei sempre innamorato della tua vigna?” “Ovviamente, come prima e più di prima…”. Ed io, sottilmente ambiguo: “E lei, ti ricambia?”.
Ora purtroppo, per mancanza di spazio, devo omettere la risposta di Isidoro. Garantisco comunque che conteneva, integro e sincero, il dono fecondo della dea più che mai madre e non solo genitrice, dalla quale i genitori di Isidoro Lamoretti hanno attinto, ispirati dal profondo, l’armonia di un nome maturato sul colle ed affinato in barrique.

firma_marlett

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